Il mito di Er narrato da Platone e ripreso qualche anno fa da James Hillman invita a riflettere su ciò che comunemente si definisce "vocazione". Non si allude però qui a una particolare vocazione, magari artistica o religiosa. La proposta è di vedere la vocazione come connaturata all'essere umani. L'intento è quello di prestare ascolto alla propria interiorità più profonda per cogliere il senso degli accadimenti della vita e da lì partire per scelte di vita che abbiano davvero valore e significato per noi.
Il mito di Er narrato da Platone ne La Repubblica è stato qualche anno fa ripreso da James Hillman per riattualizzare il senso di ciò che comunemente si definisce come "chiamata" o "vocazione". Il mito narra che il guerriero Er, morto in battaglia arriva nell'aldilà e assiste a ciò che accade alle anime prima di entrare nella vita terrena. Vede che ogni anima prima di incarnarsi, sceglie un’immagine, un modello o paradeigma, un disegno di vita, che rappresenta una sintesi di ciò che vivrà sulla terra e della ragione del suo venire al mondo. Vede anche che ogni anima è invitata a bere l'acqua del fiume Lete, il fiume dell'oblio e in tal modo dimentica la propria scelta originaria. Qualcuno però ricorda: a ogni anima è affidato un daimon, una sorta di compagno spirituale. Memore della scelta dell’anima, il daimon la aiuterà, nei momenti di svolta nella vita, a ricordare la propria vocazione e ad abbracciare il proprio destino.
L’insegnamento del mito, per chi vuole farlo proprio, è molteplice. In questa sede vorrei valorizzare l’ importanza di prestare ascolto alla propria interiorità più profonda per cogliere il senso degli accadimenti della vita e da lì partire per scelte di vita che abbiano davvero valore e significato per noi.
L’invito è quello di imparare a diventare intimi con la propria vocazione, a partire dal riconoscere che ognuno ne ha una. E poco importa se a qualcuno si svelerà tutta intera in un lampo di intuizione chiara e ad altri si svelerà un passo alla volta, rivelandosi misteriosa, molteplice, dinamica, carica di significati inattesi.
La posta in gioco è in ogni caso alta. Per gli antichi greci felicità era eudaimonia, ovvero un buon daimon, o anche un daimon contento ed è contento il daimon che è riconosciuto e onorato. Qui sta la chiave per un benessere profondo. Nulla a che vedere con la superficialità di un benessere edonistico, che si illude che nella vita possano e debbano esserci solo le esperienze piacevoli. La felicità e il vero benessere passano dal prestare ascolto a chi davvero siamo, assumendoci la responsabilità di arrischiarci a dare manifestazione concreta a una vita che ci somigli davvero, fino in fondo, fino alla fine.
© Gabriella Delmonte
Per approfondire
Bibliografia
G.Delmonte, Sulle tracce dell’Invisibile, Moretti & Vitali, Bergamo 2006
J.Hillman, (1996), Il codice dell'anima, Adelphi, Milano 2000
Platone, La Repubblica, Rusconi, 2012
Un film e un video
Billy Elliot di S.Daldry, Gran Bretagna, Francia 2000
Emilie Wapnic, Why some of us don't have one true Calling (Tr. Perchè alcuni di noi non hanno un'unica vera vocazione)
https://www.ted.com/speakers/emilie_wapnick